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Pubblicato: 11 Settembre 2025 - Categoria: SEO

Noi che gestiamo o promuoviamo un sito web sappiamo bene quanto sia facile perdersi in un mare di metriche, report e tool che promettono miracoli. Prima di parlare di come verificare le performance SEO dobbiamo chiarire cosa intendiamo per performance.

 SEO Piano di mantenimento

 © rawpixel, 123RF Free Images

Non significa soltanto salire di posizione per una manciata di Vanity Keywords, significa contribuire agli obiettivi di business: lead qualificati, vendite, richieste di contatto, iscrizioni, prenotazioni, tempo speso sul sito che corrisponde a reale interesse, riduzione della dipendenza da campagne a pagamento. Definire una bussola vuol dire tradurre tutto questo in obiettivi misurabili: aumento del traffico organico non brand del X% in 6 mesi, incremento del tasso di conversione organico dal 1,2% al 1,8%, riduzione dei tempi di caricamento Largest Contentful Paint sotto i 2,5 secondi, miglioramento del CTR medio per le query principali dal 3% al 5%.

Senza un quadro del genere qualunque analisi diventa un esercizio sterile. Negli ultimi mesi abbiamo visto proprietari di siti convinti di “andare bene” perché vedevano più utenti su Google Analytics, salvo poi scoprire che era un picco stagionale o traffico di bassa qualità proveniente da pagine non rilevanti al core business.

Per evitare questa trappola conviene creare una baseline: esportiamo da Google Search Console gli ultimi 16 mesi, isoliamo brand e non brand (filtrando le query contenenti il nome del marchio), segmentiamo per dispositivo e identifichiamo le pagine che generano l’80% dei clic. A quel punto la nostra bussola inizia a prendere forma perché possiamo confrontare progressi con un contesto, non con un’impressione.

Analisi delle metriche che contano davvero

Traffico organico totale è un indicatore di superficie. Ci serve, certo, ma se non scendiamo nei livelli sottostanti rischiamo di inseguire volumi sterili. Una buona routine parte dalle query: guardiamo impression, clic, CTR e posizione media ma non fissiamoci sul numero secco. Analizziamo la distribuzione: quante query stanno nelle posizioni 1-3, quante nella fascia 4-10 e quante oltre la 20.

Spostare query dalla seconda pagina alla prima spesso produce un salto di clic maggiore che portare una query già in posizione 3 alla posizione 2. Un altro indicatore cruciale è il CTR normalizzato: confrontiamo il CTR che abbiamo per una posizione media rispetto al CTR atteso per quella posizione (possiamo creare una curva di riferimento interna o usare benchmark pubblici). Se il nostro CTR è sotto la curva in modo sistematico forse i Meta Title non rispondono all’intento o gli Snippet dei competitor sono arricchiti da Rich Results.

In questi mesi abbiamo testato l’aggiunta di elementi come numeri, parentesi o l’anno in corso nel title e, abbiamo visto miglioramenti del CTR anche del 12-18% senza variazioni di ranking. Dopodiché guardiamo i Core Web Vitals: LCP, CLS, INP (che ha sostituito FID) perché incidono sia sull’esperienza utente sia, indirettamente, sulla capacità di mantenere l’utente sulla pagina. Una pagina lenta abbassa il tempo di permanenza e aumenta il bounce modulando negativamente i segnali di soddisfazione. Per interpretare il bounce rate o l’engagement rate (in GA4) non basta vedere un numero alto o basso: se la pagina offre una risposta rapida (ad esempio una breaking news) un bounce alto non è necessariamente un problema. Perciò segmentiamo per modello di contenuto: articoli lunghi, landing transazionali, pagine di supporto.

Conversioni organiche: configuriamo eventi chiave (submit form, click telefono, acquisto, scroll profondo) e attribuiamo solo quelle generate da traffico organico. Senza questa lettura potremmo festeggiare un +40% di visite scoprendo tardi che le conversioni organiche sono rimaste piatte. Rilevante anche la quota di traffico organico rispetto al totale: se cala e il traffico a pagamento cresce significa che stiamo compensando con advertising costoso un rallentamento organico.

Altra dimensione che negli ultimi progetti ci ha aiutato è il confronto tra nuove sessioni organiche e utenti di ritorno: una crescita sana combina acquisizione di intenti informativi nuovi e nurturing di utenti già intercettati. Per la parte tecnica analizziamo lo stato di indicizzazione con il report Copertura e con uno strumento di crawling: verificare pagine orfane, catene di redirect, canonical incoerenti. Lo studio dei log server, quando possibile, ci dice se Googlebot spreca budget su parametriche o pagine thin.

Valutiamo poi l’architettura interna: PageRank interno simulato o distribuzione dei link dalle pagine ad alto traffico verso quelle strategiche che ancora non performano. Infine i backlink: al di là del numero guardiamo domini referenti unici, pertinenza semantica, freshness dei link e percentuale di anchor brand vs commerciali. Uno sbilanciamento aggressivo su anchor esatte in nicchie competitive è un campanello di rischio. Nelle ultime settimane abbiamo sperimentato campagne digital PR micro-mirate verso siti verticali medi (non i soliti big) ottenendo link contestualizzati che hanno aiutato pagine middle-funnel a salire più rapidamente rispetto a vecchissime strategie di directory o guest post generici.

Processo operativo e cicli di revisione

Monitorare la performance SEO non è un evento mensile ma un flusso continuo con diversi orizzonti temporali.

  • Giornaliero: controlliamo anomalie di traffico o errori critici (picchi 404, aumento soft 404, blocchi robots.txt).
  • Settimanale: review dei cambiamenti di ranking per cluster di keyword strategiche, analisi dei contenuti appena pubblicati per vedere se entrano rapidamente in indice (segno di buona discovery).
  • Mensile: consolidiamo rapporti, confrontiamo con il mese precedente e con lo stesso mese dell’anno precedente per neutralizzare la stagionalità.
  • Trimestrale: audit più profondo di contenuti obsoleti, razionalizzazione di articoli canibalizzati, aggiornamento dell’analisi delle SERP per individuare nuovi formati (People Also Ask, Video, Immagini, Caroselli notizie) su cui possiamo entrare.

Quando abbiamo implementato questo ciclo su un sito e-commerce di nicchia ci siamo accorti che molte schede prodotto stavano cannibalizzando due o tre varianti colore con Page Title quasi identici, diluendo la rilevanza abbiamo consolidato con la gestione delle varianti via URL parametrica noindex e una pagina principale ottimizzata, ottenendo un incremento del 28% dei clic organici in 9 settimane su quel cluster.

Strumenti: Google Search Console per query e copertura, Google Analytics 4 per engagement e conversioni, un rank tracker affidabile per monitoraggio preciso (con segmentazione mobile/desktop), un crawler (Screaming Frog o simili) per audit tecnico, un tool di log se disponibile, suite per backlink.

Creiamo dashboard personalizzate (Looker Studio per esempio) in modo da mostrare indicatori collegati agli obiettivi, evitando report pieni di numeri irrilevanti. Etichettiamo interventi maggiori (release, migrazioni, cambi Title massivi) con annotazioni per correlare variazioni di performance.

Quando vediamo un calo iniziamo sempre da domande strutturate: è generalizzato o colpisce un segmento specifico? Coinvolge brand e non brand o solo non brand? È concentrato su mobile? Le impression sono stabili ma i clic calano? In quel caso forse il CTR è sceso per arricchimento della SERP (nuovi pannelli, video competitor). Se invece calano impression e clic allora c’è perdita di ranking o deindicizzazione. Questo approccio riduce in modo enorme il tempo sprecato in ipotesi vaghe.

Ottimizzazione continua e leva strategica

Valutare è solo metà dell’opera; l’altra metà è trasformare i dati in priorità operative. Una matrice impatto/sforzo ci aiuta: migliorare Core Web Vitals su template condivisi ha alto impatto e sforzo medio; riscrivere 200 meta description tutte insieme spesso ha impatto basso se i title sono già buoni.

Facciamo content pruning ragionato: identifichiamo pagine con zero clic organici in 12 mesi, impression nulle e scarsa pertinenza; decidiamo se unire, aggiornare o rimuovere con redirect. In un progetto editoriale recente la rimozione o consolidamento del 15% dei contenuti ha portato a un aumento del 9% delle impression totali perché abbiamo concentrato segnali e ridotto la dispersione.

Analizziamo l’intento: se la SERP di una keyword target mostra guide approfondite e noi abbiamo una landing troppo corta orientata alla conversione diretta, serve probabilmente un asset informativo che alimenti la funnel strategy e linki la landing. Strutturare i contenuti con schema markup (FAQ, HowTo, Product, LocalBusiness) può migliorare visibilità e CTR; monitoriamo quali rich result otteniamo e se compaiono cali correlati a perdita di Rich Snippet. Osserviamo la quota di contenuti aggiornati negli ultimi 6 mesi: in nicchie sensibili (finanza, salute, tecnologia) Google tende a favorire freschezza autorevole. In parallelo lavoriamo sulla credibilità: pagine Autore con credenziali reali, riferimenti, trasparenza contatti, informazioni sull’azienda e recensioni verificate rafforzano segnali di esperienza e affidabilità.

Dal punto di vista locale se abbiamo una sede fisica curiamo Google Business Profile: coerenza NAP (Name, Address, Phone), categorie, foto aggiornate, post, Q&A; misuriamo le visualizzazioni in local pack e le chiamate: anche queste sono performance SEO a tutti gli effetti. Rilevante inoltre monitorare la crescita delle ricerche brand: se sale nel tempo c’è correlazione con maggiore consapevolezza generata dai contenuti e dalle attività off-site.

Per gestire meglio l’allineamento tra team contenuti e tecnico introduciamo un backlog condiviso con punteggio semaforo: rosso (problemi bloccanti indicizzazione), arancione (opportunità di miglioramento), verde (ottimizzazioni incrementali). Non vogliamo che il team passi mesi su micro-variazioni di densità keyword mentre ci sono canonical errati che divorano la visibilità. Quando serve stimiamo valore economico del traffico organico: moltiplichiamo i clic per CPC medio delle stesse keyword su campagne paid per mostrare ai decisori come la SEO stia generando un risparmio media. Questo rafforza investimenti futuri, ad esempio per un refactoring tecnico che da solo non produce traffico immediato ma abilita scalabilità.

Conclusioni operative e mentalità a lungo termine

Ogni volta che affrontiamo la misurazione SEO ricordiamo che la volatilità a breve termine è normale, il segnale reale emerge su orizzonti di settimane e mesi. Un aggiornamento dell’algoritmo può spostare provvisoriamente ranking ma se la nostra base tecnica, l’allineamento all’intento, l’autorevolezza dei contenuti e l’esperienza utente sono solidi torniamo spesso a crescere.

Evitiamo di inseguire ogni micro-fluttuazione con cambiamenti affrettati: documentiamo, osserviamo, validiamo ipotesi prima di agire. Integrare feedback qualitativo (commenti utenti, mappe di calore, registrazioni sessioni) con le metriche numeriche aiuta a capire perché certi contenuti convertano meglio. La curiosità strutturata è un asset: invece di chiederci genericamente “perché il traffico è calato” chiediamoci “quale cluster di query top-of-funnel mobile con intento informativo ha perso posizioni tra 5 e 8 nell’ultima settimana e quale cambiamento SERP lo spiega”. Quando adottiamo questa mentalità diventiamo meno reattivi e più strategici.

La SEO moderna è una sinergia tra analisi dati, comprensione dell’utente, qualità editoriale, performance tecnica e reputazione esterna. Valutare le performance significa orchestrare queste dimensioni in un ciclo continuo di misurazione, apprendimento e ottimizzazione intelligente. Se manteniamo questo ritmo e resistiamo alla tentazione di trucchi rapidi, costruiamo un asset compounding che nel tempo riduce la dipendenza da budget pubblicitari e sostiene la crescita organica del nostro progetto online.

Riepilogo punti chiave

  • Definire obiettivi concreti (traffico non brand, conversioni, Core Web Vitals) e creare baseline
  • Segmentare le query per fascia di posizione e valutare CTR rispetto a curve attese
  • Integrare metriche di engagement e conversioni organiche per evitare vanity metrics
  • Verificare salute tecnica: indicizzazione, crawl budget, performance, struttura interna
  • Analizzare backlink per qualità, pertinenza e distribuzione anchor evitando profili sbilanciati
  • Stabilire cicli di monitoraggio giornalieri, settimanali, mensili e trimestrali con annotazioni
  • Prioritizzare interventi via matrice impatto/sforzo e fare pruning dei contenuti inefficaci
  • Ottimizzare per intento e arricchire con schema markup e segnali di esperienza e affidabilità
  • Misurare crescita delle ricerche brand e valore economico del traffico organico generato
  • Adottare mentalità di test e validazione evitando reazioni impulsive a fluttuazioni temporanee


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